domenica 27 maggio 2018

La Dottora, ovvero: colei che sa, colei che cura..

Se c'è una cosa che so fare, è prendermi cura di me. lo faccio bene, con perizia e molta attenzione. Mi ascolto, riconosco ogni variazione e cambiamento del mio corpo. Mi affascina la medicina, che uso quasi con entusiasmo. Non ne abuso, ma la uso volentieri. Mi affascina l'anatomia, e tutti i processi e i sistemi del corpo umano.
Un tempo credo di averlo fatto anche per gli altri. Chi ne aveva bisogno trovata in me aiuto, cura e conforto.
Non ero un medico, forse a quel tempo i medici neppure c'erano. E certamente non risiedevano in piccoli e sperduti villaggi sulle scogliere.
Io conoscevo i segreti delle erbe, sapevo quando raccoglierle e come usarle, e la gente mi stimava e richiedeva le mie conoscenze. Si fidava.
Qualche giorno fa non sono stata bene, per un paio di giorni sono stata molto raffreddata.
A letto cercavo di sfruttare il riposo per guarire...
Prima di dormire ho VISTO: ero in casa di una donna malata, nella sua povera casa, sulla scogliera.
Lei si lamentava, si disperava perchè ignara di quello che aveva, e di quanto potesse durare, e si domandava se fosse mai guarita o se invece stesse morendo.
Io l'assistevo, tenevo vivo il fuoco per farla sudare, preparavo tisane e intrugli. Le parlavo con tranquillità, senza sminuire il suo dolore, ma con la consapevolezza di conoscerne la causa e con la certezza che sarebbe guarita presto. Era un malanno passeggero, ma lei sembrava non crederci.
 Cosi è passata tutta la notte. All'alba lei stava meglio, e io potei tornare nella mia casa.
Mi sembra di ricordare che per riconoscenza mi abbia dato delle uova fresche.
Nei saluti ho avvertito distintamente il nome "IRIN" ma non saprei dire se era il mio o quello dell'altra donna. 
Dopo le ultime raccomandazioni, e i suoi ringraziamenti, sono uscita nella nebbia frizzante dell'alba...
Camminavo piano, respirando la nebbia mattutina, godendomi i primi raggi del sole e l'erba umida sotto i piedi.
Scendevo dalla collina, immersa nei miei pensieri, consapevole del dono che avevo. Ero conscia anche di godere di alcuni privilegi... ad esempio quello di poter stare fuori la notte e di poter rientrare all'alba. E quello di avere il rispetto della gente del villaggio.
Mentre camminavo, ho visto delle erbe curative, avrebbero potuto servirmi... le raccolsi con attenzione, senza strappare le radici e le infilai nella tasca che avevo sul davanti del mio grembiule.
Dopo la visione, mi sono addormentata...
Al mattino, al mio risveglio, anch'io ero guarita.



venerdì 26 gennaio 2018

la giornata della memoria

Mi ci è voluto un po' a scrivere questo post, ho dovuto decantare e assimilare quello che ho visto e "sentito" questa estate, visitando i campi di Auschwitz e Birkenau.
Avere consapevolezza di camminare sopra le ceneri di individui, di migliaia di persone.
Vedere i forni, le celle, i giacigli, il fango, i vagoni...
Avvertire tutto l'orrore inimmaginabile e inconcepibile da mente umana.
Vedere le montagne di oggetti quotidiani che danno, più di mille parole, la dimensione dell'orrore. 
Montagne di capelli, di occhiali, di scarpe...
Già, le scarpe delle donne... scarpe ricamate, di velluto e seta, le scarpe "buone" che fanno capire che quelle donne erano totalmente inconsapevoli di quello che le stava aspettando. Tanto da partire con le scarpe della festa, totalmente impreparate all'orrore più assurdo che mente umana possa avere concepito.
Davanti ai resti dei forni distrutti, io non sono riuscita a fotografare, per pudore, per rispetto, non so. Non ne ho avuto la forza. Luca si, ha fatto foto. queste 2:


 ORBS... impressionanti.
lo so, possono essere semplici riflessi...ma insieme, in queli giorni, abbiamo fatto più di 3.000 foto, e in nessun'altra immagine, e in nessun altro luogo si è verificato questo effetto. 
L'energia di quel posto, la carica emotiva, umana, storica. La presenza tangibile del dolore, dell' immane sofferenza, della morte, sono anche in queste foto...
E io, poco dopo, camminando accanto al filo spinato che delimitava un campo, HO VISTO chiaramente e distintamente persone, uomini e donne che mi guardavano con i loro occhi vuoti, senza espressione, senza speranza, senza lascrime. in piedi, vicini gli uni agli altri, vestiti di scuro, che mi chiedevano un pezzo di pane. Abbiamo fame dicevano. ma la cosa che mi fatto rabbrividire era che non sapevano perchè fossero li. Percepivo la loro totale estraniazione. Io con la mente gli gridavo di andarsene, erano liberi, non c'era ragione di restare. Li pregavo di andare, ora potevano. Perchè non andate? e loro insieme, chiaro e netto, mi hanno risposto: "ci hanno detto di restare qui. ci hanno detto di restare". io li pregavo e urlavo di andarsene. Qualcuno l'ho visto distintamente salire al cielo, come svaporare in un veloce raggio ascendente di luce colorata. Pochi però,  troppo pochi...
Poi la scena come è venuta, se ne è andata, e io ero nuovamente insieme ad altri turisti ammutoliti a camminare per i viali ...
Ancora adesso quella risposta "CI HANNO DETTO CHE DOBBIAMO RIMANERE QUI" detta con gli occhi privi di luce e di speranza, continua a tornarmi in mente e tormentarmi.
Avrei dovuto insistere di più, avrei dovuto chiedere aiuto a qualche altro essere di luce che potesse accompagnarli via. Avrei potuto e dovuto fare di più...
Mi capita ancora la notte di trovarmi a pregare affinchè si sentano finalmente liberi.